La nostra piccola cittadina non è particolarmente segnalata sulle enciclopedie e sui libri d’arte: ha tuttavia una sua storia, una sua vita, i suoi valori passati e presenti. Abbiamo testimonianze antiche nel campo dell’arte, quali gli affreschi della chiesetta di Santo Stefano.
Soprattutto siamo stati e siamo una comunità viva ed operosa, con una lunga e ricca tradizione nel campo religioso, nel lavoro e nelle attività produttive, specie quelle artigianali, ed anche in campo sportivo.
Ai vecchi mulini sull’Olona, sicura testimonianza dell’iniziativa e dell’intraprendenza lombarda, alle attività agricole, alle filande e manifatture, si sono aggiunte, nel tempo, molte altre iniziative, molte altre fabbriche grandi e piccole.
S.Vittore e la sua gente hanno vissuto e vivono intorno al proprio Comune con tutte le sue strutture pubbliche, alla Chiesa parrocchiale con i suoi oratori, al nuovo Santuario, nei cortili del nucleo antico, nelle sue case e nei suoi palazzi.
I sanvittoresi hanno vissuto e vivono del proprio lavoro, si sono impegnati e si sforzano di sostenere e difendere i valori civili, umani e religiosi, i valori veri, non ultimi anche quelli sportivi e la famosa corsa campestre Cinque Mulini, di rilevanza internazionale. Sulla base delle sane tradizioni del passato, la comunità sanvittorese, nonostante le difficoltà del momento presente, è certamente in grado di ulteriormente costruire e crescere in civiltà e socialità. Con il contributo e la partecipazione di tutti potranno essere difesi e salvaguardati i valori che contano nella vita pubblica: la libertà, la democrazia, la giustizia, il lavoro, il senso umano, civile e morale.
La pagina di storia che stiamo vivendo deve essere tale da garantire a tutti una migliore qualità della vita per la promozione di una “città” più giusta e più ospitale.
L'aggiunta "Olona", il fiume che attraversa il territorio comunale, si è resa necessaria con l'unità d'Italia. Il ritrovamento di due necropoli risalenti ai primi secoli dopo Cristo, confermano la presenza di nuclei abitati distanti tra loro circa un miglio romano: probabilmente erano le tombe dei coloni che presidiavano le torri poste a guardia dell'antica strada16/01/2004 10:54 consolare.
Ma è dopo l'anno 1000 che il borgo sanvittorese prende consistenza; infatti proprio in quegli anni iniziano ad operare i mulini ad acqua del fiume Olona. La forza motrice di quelle acque impetuose servì dunque a muovere le grandi mole che frantumavano il grano ed altri cereali coltivati.
La loro importanza economica era tale che le grandi famiglie milanesi - Torriani, Visconti e Sforza - si batterono aspramente per il loro possesso. Gli echi della cruenta battaglia del 21 febbraio 1339, combattuta nelle campagne attorno ai mulini "sotto il castello", erano ancora vivi fra i ricordi dei nostri vecchi.
Nel 1652 il feudo di San Vittore, unitamente a quello di Cerro, venne acquistato del conte Vincenzo Ciceri e dalla relazione stilata dal sindaco Francesco Roveda si apprende: " Santo Vittore pieve di Parabiago, ducato di Milano - Vista dalle grida pubblicata da S.M. in materia di focolari, informati Bernardino Agliaro console, Francesco Roveda sindaco del suddetto loco di Santo Vittore, notifichiamo che alla medesima terra vi sono di presenti focolari numero sessantadue, dico 62 et dal contagio in qua non possono essere cresciuti perchè la suddetta terra è sempre stata libera da contagio. Li quali focolari abitano tutti insieme in quartieri n.33 da molti galantuomini " .
Le condizioni del contratto di acquisto erano le seguenti: L.4000 ogni cento focolari e L.100 ogni 3 lire di rendita feudale; la somma occorrente per l'acquisto dei due feudi, San Vittore e Cerro fu di lire 5400. Dopo circa cinquant'anni il conte Ciceri morì senza "eredi masculini" e le terre ritornarono di proprietà delle Regie Camere Ducali.
Nel 1714 il nobile Giuseppe Maria Reali acquistava dalle Regie Camere Ducali il feudo di San Vittore i cui focolari erano saliti a 70. La rivoluzione industriale toccò anche il piccolo borgo agricolo, circa mille abitanti alla fine del 1800, con l'insediamento di alcune tessiture nei vecchi mulini e di qualche calzaturificio artigianale. La fabbricazione delle scarpe si estese ben presto diventando una valida ed indispensabile alternativa per i contadini che alternavano il lavoro dei campi con quello della fabbrica.
Nell'immediato dopoguerra, furono ben 51 i sanvittoresi caduti durante la seconda guerra mondiale, altre industrie si affiancarono alle tessiture ed ai calzaturifici così da creare a San Vittore numerosi posti di lavoro. L'industria metalmeccanica, lo stampaggio della plastica, laboratori artigianali di capi d'abbigliamento, prodotti farmaceutici e di pasticceria caratterizzano l'attuale panorama industriale sanvittorese. Anche il commercio è ben radicato e soddisfa ampiamente le esigenze degli attuali 8000 abitanti.
Si prospettò quindi una soluzione, attraverso la “podesteria”, un incarico di governo affidato per un anno a una persona di assoluto prestigio, e generalmente scelta, perché assicurasse una totale imparzialità di giudizio, in un’altra città. Ma con il tempo questo potere finì per consolidarsi, per cui molte podestà divennero in effetti i padroni assoluti delle città loro affidate.
Verso la fine del trecento, i Signori incominciarono a pretendere un riconoscimento ufficiale, tale da porli al riparo da altri eventuali mire di possesso. Il riparo consisteva nell’ottenere il titolo di “Vicario” su investitura del Papa o dell’Imperatore. Questo riconoscimento sancì in modo definito il possesso della Signoria.La supremazia dei Lampugnani, seguendo prima la supremazia dei Visconti e quindi quella degli Sforza, durò parecchi anni.
Contrariamente a quanto avvenne per le altre famiglie, come i Torriani e i Crivelli, i Lampugnani consolidarono nel tempo le loro proprietà. Grazie anche al possesso di numerosi mulini, figli e nipoti di Oldrado accrebbero il loro potere economico nella zona, e lo accentuarono grazie ai legami stretti con la corte ducale.
Nel 1460, Giovanni Andrea Lampugnani, nipote di Oldrado, ottenne dal Duca Francesco Sforza l’esenzione delle gabelle, e questo malgrado le proteste degli abitanti della zona. Il declino dei Lampugnani coincise con l’uccisione di Galeazzo Maria Sforza, avvenuta ad opera di tre congiurati, uno dei quali era proprio un Lampugnani. Questi tentarono invano di essere estranei all’atto. La verità non venne mai appurata, ma il prestigio dei Lampugnani andò via via affievolendosi, a vantaggio di altre famiglie.Una delle primissime famiglie nobili di San Vittore fu quella dei Mariola.
I documenti che testimoniano i vari passaggi di proprietà di terre, vigne e case rurali indicano l’esistenza nella zona sanvittorese di una collettività essenzialmente contadina, indubbiamente originata dalla particolare situazione del territorio e decisamente favorita dal corso del fiume Olona.
Lungo il fiume, dove non esistevano problemi di irrigazione, si infittivano colture cerealicole, mentre sulle collinette circostanti prosperava la viticoltura.
Lungo l’Olona erano inoltre dislocati numerosi mulini.
Nel 1451 a causa della peste insorta a Milano, il ducato conobbe un’epidemia di spaventosa violenza che fece cinquantamila vittime.
La chiesetta di Santo Stefano, eretta nel comune di San Vittore nel 1400, ricorda queste pestilenze come un baluardo protettivo voluto dalla popolazione.
Il “catasto”, voluto dall’Impratrice Maria Antonietta a partire dal 1718, mutò radicalmente il volto sociale della regione. Un’imposta del quattro per cento colpiva i redditi dei grandi proprietari terrieri, sino allora esenti da tasse. I grandi proprietari terrieri trasformarono le “ville”, sino allora intese soltanto come luogo di vacanza, in “cascine”. Vale a dire in imprese capaci di garantire un reddito superiore al quattro per cento richiesto dall’imposta.
Incomincia il decollo dell’impresa agricola imprenditoriale, e la nobiltà lombarda diventa protagonista si una società di tipo capitalistico. Il tipo di conduzione che prevale in Lombardia è la mezzadria.
Il podere che il contadino si tramanda di padre in figlio viene bonificato, canalizzato ai miglior fini produttivi.
Vengono allestite cantine per la conservazione del vino e costruite stalle per il bestiame.
Dopo aver imposto una svolta all’agricoltura, la nuova classe imprenditoriale si allargò ad altri settori, e si verificò quindi la nascita dello “stabilimento”. Essa non avvenne senza tribolazioni.
Uno dei primissimi stabilimenti sorti nella zona fu un filatoio mosso da un mulino ad acqua a Porta Nuova.
Gli artigiani, lasciata la bottega e trasportati nella fabbrica, diventarono “operai”.
Il Congresso di Vienna del 1° novembre 1814 apre il periodo della Restaurazione. Nel comune di San Vittore l’amministrazione viene esercitata da una deputazione del Convocato Generale, composta da tre possidenti entro il territorio del comune, e scelti dal Convocato.
Nell’Alto Milanese, questo processo inizia, nel 1820, con la nascita dei primi opifici lungo la Valle dell’Olona. Le condizioni di vita, cioè la precarietà e la scarsissima igiene delle abitazioni, la promiscuità, il tipo di alimentazione, erano fonte di malattie, specie la pellagra.
Nel 1830 a Legnano esisteva un pellagrosario. La “fabbrica”, intesa come occasione di fuga da quel tipo di vita, divenne quindi un miraggio dei contadini.
L’opificio per la tessitura del cotone operava nel comune di San Vittore già nel 1847.
Nel 1898 Antonio Bernocchi costruiva un grande stabilimento di tintoria e candeggio.
Anche nel settore della calzatura passò da una produzione artigianale a quella industriale. Il settore della calzatura divenne la più importante attività dei sanvittoresi.
Nell’ultimo dopoguerra San Vittore Olona trasforma anche il suo assetto urbanistico: nascono il nuovo Palazzo Comunale, le scuole elementari e medie, l’asilo nido e la casa di riposo per anziani. Sorgono la nuova Chiesa, dedicata alla Madonna del Rosario, il Centro Giovanile, mentre l’edilizia privata dà vita a nuovi centri residenziali, a nuovi quartieri a corona del centro storico, ormai ridotto a poche testimonianze del passato.